di Claudia Viggiani

Vado al Museo dell’Ara Pacis per vedere la mostra sul pittore giapponese Hokusai, nato nel 1760 a Edo, attuale Tokyo, città dove è morto nel 1849.
Questo pittore mi piace immensamente, non solo per l’iconica immagine della grande Onda che tutti ammiriamo e riconosciamo a prima vista. Mi piace per la sua cultura così profondamente giapponese e per quel suo fare malizioso che mi diverte e incuriosisce.

Hokusai

Hokusai, La grande onda di Kanagawa, dettaglio. A destra, titolo: Fugaku sanjūrokkei Kanagawa oki nami ura, “Trentasei vedute del Monte Fuji / al largo di Kanagawa / sotto un’onda”.
A sinistra, firma dell’artista: “Hokusai aratame Iitsu hitsu”, “Dal pennello di Hokusai, che cambiò il nome in Iitsu”

Scendo al piano inferiore della struttura di Richard Mayer e penso alla stratificazione al contrario, anacronistica direi, che paradossalmente si è venuta a creare con questa mostra. Nei sotterranei del museo, al livello inferiore rispetto all’attuale piano di calpestio, sono esposti i capolavori di un pittore moderno, vissuto tra il XVIII e il XIX secolo. Al piano superiore, invece, si trova l’altare che Ottaviano Augusto fece costruire nel I secolo a. C., come simbolo esaltante del suo potere politico.
“La struttura è sotto sopra” penso, mentre mi avvicino alla cassa.
Il bookshop è fornito di libri interessanti che sfoglio velocemente prima di entrare nelle sale espositive. C’è anche il catalogo della mostra, curata da Rossella Menegazzo.
L’atmosfera è notevole e sofisticata.
I custodi sono gentili e io sono felice.
Katsushika Hokusai, quanti nomi hai cambiato nel corso della tua vita: vorrei ricordarli tutti ma proprio non ci riesco. Sono circa trenta, troppi per me.
All’inizio ti sei firmato come “il paesano di Katsushika”, uno dei quartieri di Tokyo, città dove sei nato quando ancora si chiamava Edo.
Negli ultimi anni hai invece preferito lo pseudonimo Gakyō Rōjin, “il vecchio pazzo per l’arte”. Capisco bene cosa volessi intendere, soprattutto per il simbolo della svastica buddista giapponese, che hai aggiunto alla tua stessa firma. Il Manji, con i bracci che girano in senso antiorario 卍, rappresenta la misericordia infinita, o l’amore del Dharma che permea l’universo e nutre tutte le cose.
I ponti e le cascate più importanti del Giappone riempiono la prima sala e anche il mio cuore.
Sono opere realizzate da un maestoso paesaggista, in grado di esprimere il sentimento della natura.
Le cascate, luoghi sacri per lo shintoismo, colpiscono per la forza e la drammaticità del contesto.

Hokusai

Hokusai, Il Passo di Mishima nella Provincia di Kai, 1831-33, dettaglio, da Trentasei vedute del Monte Fuj

Tutte le stampe, concepite in serie per essere vendute a prezzi accessibili alle grandi masse, sono Ukiyo-e, immagini della vita che passa, il cosiddetto “mondo fluttuante”, e rispondono pienamente all’esigenza del mercato dell’epoca, che richiedeva di trattare soggetti precisi, luoghi noti al pubblico, temi e personaggi alla moda.
Le peculiarità tecniche, l’abilità e l’originalità della pittura di Hokusai emergono tutte.
Potrei stare ore a guardare i dettagli, i segni, i colori stesi a campiture piatte.
Cammino e mi dirigo verso la grande sala dove sono esposte le “Trentasei vedute del Monte Fuji, o Fuji-san (富士山).
Le stampe sono veramente sorprendenti e valgono la mostra. Giro e mi rigiro, guardando lo spazio intorno a me. È riempito da luoghi che non esistono più, distrutti nel 1923 dal grande terremoto del Kantō.
Quanta vulnerabilità vedo in queste immagini e nella vita stessa che rappresentano.
Tutto passa, muovendosi al ritmo della natura.

Hokusai

Hokusai, Ejiri nella Provincia di Suruga, 1831-33, dettaglio, da Trentasei vedute del Monte Fuj

Gli uomini sono raffigurati ovunque, prevalentemente in primo piano, rispetto al vulcano che, pur essendo il protagonista delle vedute, spesso appare lontano. Devo cercarlo bene perché in alcune stampe sembra nascondersi dietro agli alberi oppure dietro a un ponte. Nell’Onda sparisce quasi, sommerso dall’acqua che si solleva per infrangersi con degli artigli che fanno paura.
Non è facile catturare l’essenza della natura alla quale appartiene anche l’uomo, con le sue azioni, il suo vivere e il suo operare.
Penso a quando Hokusai si ritirò a vivere nel tempio Meionji e procedo nella visita. Lungo il percorso espositivo ammiro numerosi Kakejiku, i rotoli da appendere. Mi piacciono molto quello raffigurante la “Raccolta di conchiglie”, con la giovane donna sulla destra che strizza un lembo della sua veste, e quello del “Drago che sale al cielo”, compiuto da Hokusai a 87 anni.

Hokusai

Hokusai, Manga

In realtà mi piace tutto di questa mostra, anche le sezioni dedicate a Keisai Eisen, pittore comprimario di Hokusai, e quelle destinate ai Manga, raffiguranti persone, animali, piante, paesaggi, demoni e mostri, e alle “immagini pericolose”, le Abunae.
Rido ancora al pensiero degli “Amanti che si baciano”, titolo poco esplicativo per comprendere la reale ed esplicita raffigurazione erotica.
Mi incammino all’uscita e cerco nella mia tasca il foglio sul quale ho appuntato le frasi che Hokusai ha voluto scrivere per tutti noi. Lo apro e rileggo commossa l’haiku da lui composto poco prima di morire:
“Anche se come un fantasma, me ne andrò per diletto per i campi estivi”.
E in quei prati io lo ritroverò sempre, come lui stesso desiderava che avvenisse.

Foto Claudia Viggiani