di Claudia Viggiani

Per capire un’opera d’arte quasi sempre è necessario conoscerne la verità storica e il suo divenire nelle mani di colui che l’ha ideata e generata.
Ma quando si pensa ad un artista di solito non si riesce a contestualizzarlo nel periodo in cui egli è vissuto e nella società nella quale si è formato, innanzitutto come essere umano.
Se poi si conosce la sua biografia, di quelle fatte bene, con chiari riferimenti storici e geografici, e senza fronzoli romanzati, allora si capisce quanto il ‘conoscere bene e meglio’ sia necessario alla nostra personale cultura e al piacere e alla soddisfazione che da essa dipendono.
La parola cultura ha un significato profondo ed assoluto poiché deriva da un’azione, quella di «coltivare» (colĕre in latino) lo studio e l’esperienza affinché si possa poi raggiungere il sapere.
L’avere una cognizione ampia e approfondita di qualcosa, il ritenere nella mente una nozione, l’avere una competenza esatta e precisa di un’opera, il saper distinguere e possedere delle esperienze necessarie alla comprensione di qualcuno e di qualcosa, insomma avere un comportamento che ci consenta di conoscere, di sperimentare, di studiare e di capire, è all’origine alla cultura. Si coltiva lo studio per raccogliere i frutti della conoscenza.
Ma la cultura si può anche ereditare, assorbire da comportamenti, attraverso parole e immagini che acquisiamo nel tempo, durante tutto l’arco della nostra vita.
I più fortunati subiscono addirittura un’azione passiva del colĕre, grazie all’eredità che le nazioni e le famiglie lasciano loro.
Mi riferisco alle testimonianze orali e alle opere intellettuali e monumentali; alle conoscenze antiche, ancestrali, comprese, narrate, scritte, edificate e giunte sino a noi.
La nostra civiltà ha una grandissima fortuna in questo senso perché ha ricevuto tantissima ricchezza, costituita da beni culturali, materiali e immateriali, dei quali siamo tutti allo stesso modo custodi e divulgatori.
Prima di guardare un dipinto, una scultura, un’architettura o un’opera d’arte ricordiamoci di conoscere l’uomo o la donna che l’ha realizzata e cerchiamo di comprendere il contesto che l’ha prodotta.
Solo così potremo seminare dentro di noi quelle informazioni che si trasformeranno in erudizione, in consapevolezza e, solo infine, in cultura.
Non è importante parlare di cultura; questa si fa, si compie attraverso azioni ben precise che, il più delle volte, portano non solo a capire un’opera d’arte ma l’intera umanità nelle sue infinite manifestazioni.

Michelangelo Buonarroti, Gli antenati di Cristo: Naasson e la moglie, 1511-12 ca., affresco, Cappella Sistina, Musei Vaticani

Michelangelo Buonarroti, Gli antenati di Cristo: Naasson e la madre, 1511-12 ca., affresco, Cappella Sistina, Musei Vaticani

Nella prima lunetta, in alto sulla parete sinistra per chi entra in Cappella Sistina dalla piccola porta sotto il Giudizio Universale, è raffigurato, a destra, Naason (o Naasson), figlio di Amminadab, capo della tribù di Giuda nel deserto e comandante di un esercito di 74.600 uomini. Il figlio Salmon sposò Raab e suo nipote Boaz sposò Rut (1Cr 2:11-15; Ru 4:20; Mt 1:4-6, 16; Lu 3:32).
Il giovane è rappresentato semisdraiato, con una gamba allungata su di un panchetto di legno, lo sguardo accigliato e le braccia conserte, pigramente nascoste sotto il mantello.
Il suo atteggiamento scontroso si riferisce alla sua accidia e alla sua insolenza che lo portarono a rifiutare di leggere il Libro della Legge aperto davanti a lui.
Sulla parte sinistra della lunetta è invece dipinta la madre, o forse la moglie, mentre si specchia, presa dalla sua vanità che non le fa vedere altro.
Nello specchio tenuto in mano dalla donna è però presente una figura diversa da quella apparentemente reale: il viso è sfiorito e tetro e niente della sua bellezza, inclusi i biondi capelli raccolti in una coda, e della sua ricchezza, evidenziata dall’orecchino d’oro, sono presenti nell’immagine riflessa nello specchio.
Michelangelo ha voluto rappresentare i due antenati di Cristo che non hanno voluto conoscere i precetti dettati da Dio a Mosè sul monte Sinai, accecati com’erano dall’ignoranza, dal compiacimento di sé e dalla presunzione.