di Claudia Viggiani

La prima volta che sono arrivata in Giappone nel 2007 ero stordita dalle 12 ore di volo e dal Jet-lag. Ero inebriata dalla gioia della lunga attesa, quasi 20 anni da quando per la prima volta avevo desiderato partire.
Credo fossi alla scuola media quando lessi su di un libro una frase zen che recitava più o meno così “la saggezza è lasciar andare qualche cosa ogni giorno”.
Credo fosse una citazione sulla rivista Selezione dal Reader’s Digest, ma non ci giurerei. Sono invece quasi certa che fosse la fine degli anni 70.

Selezione Digest

Allora, nella mia mente, i templi zen erano una serie di immagini astratte, incomprensibili, perché distrattamente focalizzate su concetti che non coglievo molto bene.

Con gli anni, viaggiando, soprattutto in Europa, vidi il Giappone anche nei dipinti di Van Gogh e nelle stampe collezionate da Monet a Giverny
Con il tempo ho poi conosciuto le filosofie che, spesso, rimandavano all’Oriente che mi affascinava sempre di più.

Da allora in poi, il Giappone è diventato un’amabile e persistente presenza nella mia vita, con gli scritti dei monaci, i libri, gli haiku, le storie delle geishe, i combattimenti dei samurai e soprattutto le filosofie ancestrali, le tradizioni e i culti atavici che intensamente mi appassionavano e mi attraggono ancora oggi.

Fu così che decisi di partire per conoscere, tra i tanti luoghi che avevo sognato di visitare, quello più lontano geograficamente ma, sicuramente, il più vicino all’idea di cultura antica che volevo assolutamente conoscere.
Per mesi ho programmato il mio primo soggiorno che, come in ogni mio viaggio, è stato in gran parte stanziale.

Mi sono trasferita prima a Tokyo e poi a Kyoto dove soprattutto i templi e i musei mi hanno aiutato a comprendere meglio tutto ciò che avevo appreso per anni e, nei mesi precedenti al viaggio, studiato con pieno interesse.
Il mio approccio al viaggio è stato inizialmente quello di tutti i miei viaggi, un approccio quasi accademico direi.
Sono sempre affascinata dalla storia, dall’arte, dalla cultura e dalla vita dei luoghi che visito.
Sono catturata dalle atmosfere, dalle forme architettoniche, dalle espressioni artistiche, dalle persone, dalle luci, dai colori, dai profumi e dai sapori.
In viaggio, non ho tempo per andare di fretta e incedo lentamente.

Giappone

Tokyo

Tokyo è apparsa subito come le immagini me la avevano mostrata: una metropoli moderna, vivace e ben organizzata. Piena zeppa di persone e di automobili. Di taxi. Tutti rispettosamente ed ordinatamente in coda quando il sovraffollamento lo impone.
Una città animata e da godere appieno, in ogni sua manifestazione.
Una città bellissima, urbanisticamente ed architettonicamente unica ed esemplare. Con grattacieli belli, bellissimi; architetture, rare, immense ed eleganti.
Con il passare dei giorni, dopo aver fatto quello che fanno tutti (basta leggere un qualunque itinerario di viaggio per comprendere quali siti visitare, cosa mangiare, dove comprare) mi sono addentrata, quasi miracolosamente, nella sua anima rituale, quella meditativa, religiosa e spirituale.
Ho visto tutti i templi e i santuari possibili e immaginabili: famosi, meno famosi, grandi, piccoli, nascosti, silenziosi e rumorosi.
Ho aspettato per ore che le persone venissero e andassero, in un continuo movimento di corpi; ho guardato il tempo fermarsi e ammirato i colori – delle strutture lignee, dei dipinti, degli arredi e degli amuleti – mentre cambiavano con il mutare della luce naturale.

Ho visto ciò che volevo vedere. Ho trovato la mia Tokyo, quella che poi avrei ritrovato in tutti i viaggi successivi.
Nei musei ho visto opere significative della cultura nipponica. Ho ammirato la delicatezza delle foglie d’oro usate per arricchire i pannelli lignei delle ricche dimore.
Ho studiato le sculture buddhiste e ammirato i segni della calligrafia, anche se incomprensibile per me.
Ho cercato di comprendere lo scintoismo e la complicata storia del Giappone moderno. Ho memorizzato le singole parti che caratterizzano le architetture di una casa, di un tempio, di un complesso architettonico. E ho camminato fino a crollare dalla stanchezza pur di vedere gli angoli nascosti di ogni quartiere. Ho guardato gli alberi, le piante e gli strani insetti che le popolano.
Ho viaggiato per capire una città e la sua cultura così diversa dalle altre che avevo conosciute sino allora.

Poi un treno velocissimo, della rete Shinkansen, mi ha portato da Tokyo a Kyoto.

Giappone

Kyoto

E così è nata la mia terza relazione con una città. Le altre due erano state con Roma e Parigi.
Amori a prima vista, storie indimenticabili, senza fine.

L’antica capitale, la storica città degli imperatori, la città dei templi e dei santuari. La città delle ville imperiali, avvolte da una natura apparentemente intemperante, che lascia senza respiro.
A Kyoto è bello perdersi. A nord a sud, in centro, fuori dalla città, ovunque, non fa differenza.

Kyoto è Kyoto e per chi la ama, è sempre bella.
Io mi sono innamorata degli angoli, delle strette ed intrigate strade, quelle che non sai mai dove ti conducano e dove è difficile perdersi, ma anche trovare qualcosa di inaspettato: una signora che ti guarda, un piccolissimo santuario, un minuscolo tempio, un’antica bottega e il silenzio, quel silenzio che calma la mente.
A Kyoto ho trascorso tranquille ore dentro un tempio, un giardino zen, oppure seduta a guardare il fiume che scorre; un fiume libero di scorrere, sulle sponde senza argini di asfalto.

A Kyoto ho scoperto che l’infelicità è uno spazio tra noi e il poi.

Ho acquistato oggetti antichi e moderni e ho visitato grandi e piccoli musei.
Ho camminato all’alba per raggiungere aree periferiche con giardini mozzafiato, templi inimmaginabili dove l’aria che si respira è densa di stati d’animo mentre l’ambiente e il paesaggio si fondono uno nell’altro, creando un insieme multanime, dove quel che conta non sono più i singoli particolari, ma il tutto, nella sua capacità di suscitare una grande emozione.
Ho percorso le strade di notte, con le luci appese ai fili per scongiurare gli incendi in caso di terremoti. Luci romantiche e malinconiche, luci reali che aggiungono qualcosa di misterioso al cielo.
Ho pensato a Monet e Van Gogh che avrebbero voluto certamente guardare questi posti.
Ho pensato a George Sand e al suo ‘principe d’Oriente’ e a Wislawa Szymborska e alla sua bellissima poesia dedicata a Kyoto.
Alle storie zen.
Ho pensato a quanto nella cultura occidentale sia ispirato dall’estremo oriente; ho capito che il Giappone non mi avrebbe mai più lasciata e che sarei tornata tante altre volte.

Kyoto ha fortuna,
fortuna e palazzi,
tetti alati,
gradini in scala musicale.
Attempata ma civettuola,
di pietra ma viva,
di legno,
ma come crescesse dal cielo alla terra.
Kyoto è una città bella
fino alle lacrime.

Wislawa Szymborska