di Claudia Viggiani

Entro nella Chiesa di Santa Maria del Popolo in una gelida mattina di fine gennaio, per visitare il coro quattrocentesco, ampliato all’inizio del Cinquecento da Donato Bramante.
Sono sola. Voglio vedere la decorazione della volta dipinta nel primo decennio del Cinquecento da Bernardino di Betto, detto Pintoricchio, su committenza di papa Giulio II della Rovere, avidissimo e munifico mecenate, protettore dei più grandi artisti dell’epoca.
Quando entro nel coro, osservo i due solenni monumenti funebri realizzati tra il 1505 e il 1507 da Andrea Sansovino: a sinistra, quello del cardinale Ascanio Sforza, fratello di Ludovico il Moro, duca di Milano e, a destra, quello del cardinale Girolamo Basso della Rovere.

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Andrea Sansovino, Tomba di Ascanio Sforza, 1507

Ascanio Sforza, figlio del duca Francesco e di Bianca Maria Visconti – già vescovo di Pavia, Novara, Cremona e Pesaro – venne a Roma nel 1484, anno in cui fu nominato cardinale del titolo dei Santi Vito e Modesto, allora detto in Macellum. Fu molto amato dai romani e ben voluto da Rodrigo Borgia che, eletto papa nel 1492, con il nome di Alessandro VI, lo investì della carica di vicecancelliere, dandogli il diritto di soggiornare nella prestigiosa sede di Palazzo della Cancelleria.

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Andrea Sansovino, Tomba di Girolamo Basso della Rovere, 1505

Girolamo Basso della Rovere, figlio di Giovanni Basso e Luchina della Rovere, sorella di Francesco, poi papa Sisto IV, era invece un carissimo cugino di papa Giulio II. Fu vescovo di Albenga e successivamente di Recanati. Eletto protettore della Santa Casa di Loreto, si dedicò all’ampliamento della basilica e commissionò a Melozzo da Forlì gli affreschi della cappella del Tesoro.
Le tombe monumentali si trovano qui da prima che Pintoricchio intervenisse sulla volta, nell’ambito degli ambiziosi progetti di mecenatismo che papa Giulio II portò avanti appena eletto nel 1503.
Infatti, mentre Raffaello Sanzio decorava l’appartamento pontificio, le celebri Stanze in Vaticano, Giulio II assegnava a Michelangelo il progetto di restauro e di decorazione della volta della Cappella Sistina, affrescata dal pittore con le Storie della Genesi, i Profeti, le Sibille, le storie dell’antico testamento e gli antenati di Cristo.
Tutti i grandiosi progetti di Giulio II – assegnati ad artisti in ascesa – appaiono inizialmente come scelte dovute a soluzioni pratiche, indiscutibili per la conservazione di spazi e luoghi di importante valore per il papa, edifici da salvaguardare, innanzitutto, e da valorizzare, poi, con nuovi, considerevoli cicli pittorici che avrebbero avuto infine uno straordinario impatto sulla società del tempo.

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Guillaume de Marcillat, vetrata con Infanzia di Cristo, 1508-1510

Alzo lo sguardo e scorgo le preziose vetrate, a grisaille, compiute da Guillaume de Marcillat tra il 1508 e il 1510: illustrano le Storie della Vergine a sinistra, e l’Infanzia di Cristo, a destra, e sono sormontate dallo stemma pontificio. Sono rare e preziose e stilisticamente aggiornate al linguaggio rinascimentale che avvolge tutte le opere presenti nel coro di Bramante.
Fu Giulio II della Rovere a incaricare Donato Bramante, già sovrintendente generale a tutte le costruzioni papali, di reperire gli artisti per il coro e, tra questi, anche lo specialista per l’invetriatura delle due serliane, montate tra il 1508 e il 1510, con il contributo di Maestro Claudio, attivo sino alla sua morte sopraggiunta mentre lavorava qui.
Il coro di Donato Bramante, progettato entro il 1508, presenta un catino dell’abside a conchiglia, una decorazione con cornice tuscanica, una copertura a cassettoni della volta a botte e un’illuminazione ottenuta da aperture nel muro e nel cassettone inferiore della volta.

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Donato Bramante, coro, dettaglio

È veramente elegante e sintetizza molto bene l’eredità spirituale raccolta da Bramante – architetto e pittore, nato nel 1444 a Monte Asdruvaldo, presso Firmignano (Pesaro) – nei suoi intensi soggiorni presso le corti di Milano, Mantova e Urbino, città frequentate prima di giungere a Roma, nel 1499. L’armonioso chiostro di Santa Maria della Pace è la sua prima opera romana, amata da qualunque visitatore che entri nel complesso architettonico.
Qui, come altrove, Bramante ha dato vita a una straordinaria rappresentazione dello spazio, nell’equilibrata fusione delle strutture reali, antecedenti al suo intervento, con quelle nuove, elaborate mediante le tecniche illusionistiche della prospettiva.
Bramante è stato un precursore di potenti e illusive soluzioni artistiche che ebbero un grandissimo impatto nei secoli a seguire, come nell’operato di Borromini, ad esempio.
Pintoricchio lavorò nel Coro della Chiesa per la quale il pontefice provava un particolare attaccamento, in particolare nel ricordo dello zio, il defunto pontefice Sisto IV della Rovere, che l’aveva ricostruita negli anni del suo pontificato (1471-1484).
Il coro, forse concepito per essere destinato a mausoleo della famiglia Sforza e della Rovere, fu decorato con un chiaro intento di esaltazione della figura della Madonna alla quale anche il papa era particolarmente devoto.
Accendo gli interruttori delle luci per osservare meglio i dettagli e penso a Pintoricchio in questa chiesa. Immagino lui e Bramante intenti a discutere, insieme al Marcillat, sul procedere dei lavori.

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Pintoricchio, volta del coro

La decorazione della volta raffigura, al centro, entro un clipeo, l’Incoronazione della Vergine, su fondo azzurro e oro circondata dai quattro Evangelisti, le Sibille e, in corrispondenza dei pennacchi, i quattro Dottori della Chiesa, assisi su troni.
Mi viene in mente il terribile Giorgio Vasari che fece di tutto per screditare il pittore umbro, anche continuando a storpiandone il nome in “Pinturicchio”, nella maldicente biografia a lui dedicata nelle Vite scritte nel 1568. In realtà, nel 1501 Bernardino di Betto si era firmato Bernardinus Pictoricius Perusinus, proprio sotto l’autoritratto dipinto nella “cappella Bella” di Spello.  Lui era Pictoricius, un “piccolo pittore”, piccolo di aspetto, umile e quasi sordo, ma cosi tanto grande da essere chiamato nella città pontificia per decorare uno dei luoghi simbolo del rinascimento romano, prescelto – tra cento – da Giulio II.
Esco dalla chiesa passando accanto alle altre due cappelle nella navata destra, decorate alla fine del Quattrocento dallo stesso Pintoricchio: la Cappella Basso Della Rovere, commissionata dal cardinale Girolamo Basso Della Rovere, nipote di Sisto IV e dedicata a Sant’Agostino, e la Cappella del Presepio, con la bellissima Adorazione del Bambino con san Girolamo, commissionata dal cardinale Domenico Della Rovere.
Anche una terza cappella, dedicata a San Lorenzo e radicalmente rinnovata da Carlo Fontana, tra il 1680 e il 1687, per il cardinale Alderano Cybo, era stata affrescata da Pintoricchio e dalla sua bottega al principio del Cinquecento. L’unico frammento di affresco sopravvissuto alla distruzione di questa cappella, raffigurante la Madonna con Bambino, fu inviato dal cardinale Cybo a Massa nel 1687, dove si trova tuttora, nella Cappella Ducale del Duomo.
Il mio sopralluogo termina così.
Bramante, Sansovino, Marcillat e Pintoricchio hanno scritto parte della cultura artistica romana tra la fine del Quattrocento e gli inizi del Cinquecento. E io sono felice di aver viaggiato in un brandello di questo intervallo di tempo, segnato dal pontificato di Giulio II. Ora aspetto solo di decidere dove andare per continuare il viaggio tra le opere di Raffaello e Michelangelo protagonisti eccelsi di questa florida, unica, immensa stagione figurativa.